Sono Lucio Parrotto, ho 69 anni, ho vissuto molti anni in Belgio dove ho lavorato in miniera. A differenza di alcuni miei compagni di lavoro ho avuto la fortuna di riportare in Italia la mia pelle benché anche per me il benessere derivato dall'emigrazione ha avuto un carissimo prezzo. Voglio fare, per chi non conosce il disagio di questo fenomeno, un breve riassunto della mia esperienza di vita vissuta fuori dalla terra natìa.

Avevo 21 anni quando decisi di espatriare. Qui a Casarano, ma posso ben dire in tutto il meridione, si era in uno stato di quasi miseria e spesso non si aveva nulla da mettere sotto i denti. Non vi era il presente, immaginate se poteva esserci futuro.

In quel periodo, ogni tanto, si leggeva qualche manifesto di reclutamento di personale per le miniere del Belgio; feci la domanda, le visite mediche e partì con qualche spicciolo in tasca. A Souvret trovai un altro mondo, non era l'America, ma a confronto a ciò che avevo lasciato potevo dire che stavo bene. Il lavoro duro della miniera, la lontananza dai miei, pesava ma non era un problema. Mi adeguai subito.

Ogni anno il 4 dicembre festeggiavamo S. Barbara, la nostra protettrice; si aspettava con ansia quel giorno. Era un motivo per  ritrovarci a gruppi di amici e famiglie. Era la più grande festa per noi minatori.

Nel tran tran quotidiano la fortuna, un giorno, volle che incontrassi una ragazza di appena 15 anni della quale mi innamorai subito. Era di origine bresciana, figlia di un minatore. Non ci pensammo due volte e il 22 aprile 1962, io e Angela, ci fidanzammo.

 

Fu questo uno degli eventi più belli della mia esistenza: quell'incontro ha sicuramente dato una diversa connotazione alla mia vita.

Ci sposammo a Souvret il 22 dicembre 1962.

 

Costituimmo, così, una nuova famiglia: un'altra famiglia italiana in Belgio e come per le altre famiglie anche alla nostra incominciarono ad arrivare i figli. Arrivarono dapprima Bibiana nel 1964 e Pierina nel 1967.

Il 25 maggio del 1967, però, perdemmo Pierina a causa di un'embolia. Aveva 3 mesi. Portammo il corpicino in italia per la sepoltura.

Ci volle molto tempo per riprenderci dal dolore subìto. Intanto la vita andava avanti con la solita routine: miniera-casa-miniera ...

La famiglia cresceva: nel 1968 arrivò Antonio, poi nel 1970, Pierino e infine, nel 1972, Maria Teresa.

Occorreva lavorare sodo, sia per le nuove bocche da sfamare, sia perché covavamo l'idea di tutti gli emigrati, ovvero quello di costruirsi la casa al paese. Sicché per questo motivo non si veniva tutti gli anni in ferie.

Una buona parte dei soldi che guadagnavo li spedivo a mio padre che provvedeva a investirli sulla costruenda casa a Casarano. Poi io quando potevo, di solito in estate, venivo con la famiglia per non più di una settimana a trascorrerla con i miei. Negli anni che ciò non mi era possibile, ai miei mandavo oltre alle mie lettere anche le foto della mia famiglia che con orgoglio tenevano esposte sul comodino.

Nell'estate del 1973 io e mia moglie decidemmo di venire a Casarano per una settimana anche per far svagare i bambini dopo l'anno scolastico appena concluso. Appena arrivati a Casarano vidi il gran lavoro da fare che c'era nella casa in costruzione e mi misi a lavorare insieme a mio padre.Continuai per otto giorni imperterrito anche perché mi sentivo una salute da leone. I giorni di ferie a disposizione volarono subito. Mi ritrovai a preparare l'auto per la ripartenza. Era il 23 luglio. Il viaggio si presentò bene. Filò tutto liscio come l'olio sino a quando, arrivati ad Arracout in Francia, incontrammo una zona molto fredda e, per non far prendere il raffreddore ai bambini, accesi il riscaldamento e chiusi tutti i finestrini. Fu fatale! Il tepore mi fece venire un colpo di sonno...., non poteva essere successo nient'altro, dal momento che ci trovammo con l'auto ad urtare due vetture della gendarmeria francese parcheggiate vicino alla caserma e poi finire in un canale adiacente. Ci soccorsero i poliziotti francesi e io per istinto e per paura che l'auto prendesse fuoco, incominciai a tirare fuori i bambini dall'abitacolo i quali, poverini, strillavano a squarciagola. Presi Antonio, Pierino, Maria Teresa, poi quando andai a prendere Bibiana, che non si muoveva affatto, mi accorsi che era morta. Aveva urtato con la testa sulla carrozzeria.

Eravamo disperati, furono momenti terribili, i gendarmi continuavano a dirmi cosa volevo fare della bambina, io non sapevo cosa rispondere. In quel momento mi chiesi perché non fossi morto pure io. Poi mi ripresi e capii che toccava a me decidere.

La decisione fu quella di portare la bambina in Italia per la sepoltura ma l'agenzia delle pompe funebri chiese una somma impossibile per me e per giunta voleva essere pagata anticipatamente.

Decisi allora di far proseguire mia moglie e i bambini in treno verso il Belgio e io di restare in Francia con Bibiana. Io rimasi, con la bambina, ad Arracout. Mi aiutarono molto il parroco di quel paese e due ragazze che girarono tra gli abitanti per fare una colletta per il mio bisogno.

Nel frattempo la notizia della morte di Bibiana era stata comunicata in Belgio ad alcuni conoscenti che senza perdere tempo si prodigarono a elargire un loro contributo economico per permettermi di pagare l'agenzia delle pompe funebri. Gareggiarono in solidarietà, italiani e belgi insieme.

In men che non si dica, mia moglie tornò in Francia con i soldi. Pagammo l'agenzia e finalmente potemmo ripartire per Casarano dove seppellimmo la nostra seconda figlia morta in terra straniera.

Vi presento Bibiana in una foto scattata due mesi prima dell'incidente, aveva 10 anni.

Purtroppo per star meglio a volte si pagano prezzi molto alti. Tutti gli emigrati, io credo, hanno pagato qualcosa per ottenere ciò che non riuscivano ad avere nella loro terra. Io ho pagato, sino ad ora, questo prezzo; la silicosi lasciamola da parte...

Nonostante tutto, GRAZIE BELGIO !

Ringrazio chi mi ha ospitato in questo sito per raccontare questa mia storia di emigrazione, ringrazio voi per l'attenta lettura che spero non vi abbia turbati e ringrazio ancora oggi quanti, in tutti i modi, mi hanno aiutato nei momenti più difficili della mia esistenza.

         Casarano, 29 gennaio 2004                                                                                        Lucio Parrotto